Dottor Gianfranco Aprigliano

La medicina moderna si è evoluta non solo nelle grandi possibilità di trattamento, ma anche nell’approccio che il paziente ha nei confronti della malattia.

È oggi molto più raro che si accetti passivamente e con rassegnazione una diagnosi di malattia, vi è la grande necessità di capire meglio cosa ci è stato detto, se siamo gravemente ammalati, quali cure dovremo fare, e se andranno proseguite per tutta la vita.

Potremo continuare a comportarci e a vivere come prima? E ancora domande come: “dovrò prendere tutte quelle pillole? Chissà  quali effetti collaterali!” Oppure ” ma il medico avrà capito bene cos’ho? Non si sarà sbagliato? Sui giornali si leggono tante di quelle brutte notizie…” e per finire “ho letto su internet che nei casi come il mio ci si può curare con le erbe….”.

Tutte queste domande sottendono inconsapevolmente il rifiuto della malattia e, ahimè, spesso la teatralità delle notizie giornalistiche non ha aiutato a creare un clima di serenità nel rapporto medico-paziente che è sempre meno un rapporto di fiducia.

La perdita di questo rapporto è un danno per il medico, ma soprattutto per il paziente che non ha più strumenti validi per affrontare il cammino che lo aspetta, trovandosi schiacciato tra notizie spesso fuorvianti trovate autonomamente (blog di internet, conoscenti, sedicenti esperti di cure alternative …..e chi più ne ha più ne metta).

Il consiglio più sincero che mi sento di dare è quello di trovare un professionista valido e una volta assodato che ci siano competenze ed empatia reciproca (ossia: ha capito quello che ho, mi sta ad ascoltare, non mi sorride solo per cortesia…) affidarsi completamente. La fiducia deve essere completa anche perché il paziente non ha la possibilità di verificare il percorso che sta compiendo se non osservando come si sente (anche questo parametro non è sempre utilizzabile perché, a differenza delle patologie ortopediche dove se qualcosa non funziona come dovrebbe fa male… e molto…, alcune malattie cardiache possono essere totalmente prive di sintomi anche se gravi o di converso, dare intensa stanchezza anche se ottimamente curate.

Inoltre diffidate dai medici che vi parlano subito male dei colleghi precedenti, soprattutto se siete delusi e demoralizzati per la vostra malattia o il trattamento che avete ricevuto in precedenza. Raramente un collega competente e di spessore culturale “sparerà a zero” sull’operato degli altri, perché chi fa questo mestiere con passione e onestà sa che la malattia non è una equazione di algebra, purtroppo il risultato non è garantito, anche se si fanno tutti i passaggi correttamente.

Alcuni psichiatri hanno definito le persone che diventano medici con un profilo di tipo narcisistico, anche i più insospettabili. Ebbene si! Per fare questo mestiere, in cui è richiesto necessariamente un enorme sacrificio di vita, ore di studio, notti insonni, festività mancate, ferie ridotte, tirocini estenuanti, ci deve essere un tornaconto che è superiore in termini di appagamento al mero stipendio: “l’ho guarito e sta bene! E sono stato io, vado a letto felice, sono stato utile (anche se lui magari non sa nemmeno quanto)…”

Il senso di gratificazione è enorme ed è la molla che ci spinge ad andare avanti (anche se non dimenticate per favore di ringraziarci….)

Terminata questa piccola digressione personale, il significato di tutto questo è che ritengo importante:

mettere al centro il paziente e non la malattia (ricordiamoci che dobbiamo curare lui non la stenosi della sua coronaria..)

fornire gli strumenti per scegliere consapevolmente Spesso non esiste solo una strada di trattamento e se spiego al paziente i pro e contro penso possa meglio prendere una decisione per affrontare i suoi percorsi futuri

– supportare, correggere, ricordare, consigliare

Ovviamente la tipologia di supporto che devo fornire si deve adattare alla personalità che ho di fronte: il paziente caratterialmente deciso e pragmatico preferisce dei numeri e dati secchi su cui decidere. Di converso il paziente ansioso ed introverso necessita di maggior consiglio e supporto decisionale.

In conclusione lo scopo del trattamento è sempre quello di curarVi con le più moderne ed efficaci tecnologie disponibili attualmente in ambito cardiovascolare (ricordando che in Italia fortunatamente disponiamo dei migliori mezzi tecnologici al mondo in medicina).

Il percorso di cura viene personalizzato per ogni paziente. Questa filosofia di trattamento, molto più dispendiosa e difficile, è la più efficace, per la qualità della vita che si offre al paziente e ovviamente si discosta dalla filosofia americana “one fits all” in cui, per praticità, si tende a cercare una cura che vada bene a tutti uniformando le tecniche di trattamento.

In questo percorso di cure il paziente è tenuto a effettuare dei periodici controlli in cui si verifica non solo l’andamento della malattia, le modifiche alle terapie farmacologiche e gli esami di routine, ma anche l’aderenza a stili di vita corretti, l’individuazione precoce di eventuali sintomi contribuendo a rafforzare l’equilibrio psicofisico ed il senso di rassicurazione. Questo percorso di cure globale si integra inoltre con le altre eventuali patologie del paziente non limitandosi ad un approccio iperspecialistico che non conosce o tiene conto di altre problematiche, eventualmente consigliando soluzioni compatibili con più patologie.

In definitiva ritengo che il paziente che ha una patologia cardiovascolare o è a rischio di svilupparla, debba poter usufruire di un riferimento medico che sappia indirizzarlo, seguirlo nelle varie problematiche della vita anche non necessariamente cardiologiche, consigliarlo nelle scelte e guidare il suo percorso mantenendo il suo grado di consapevolezza e l’aderenza alle buone abitudini costante nel tempo.

Questo tipo di atteggiamento è senz’altro quello più efficace nel ridurre la possibilità di ulteriori problemi di salute nel tempo.

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